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Basta sacrifici. Lo sostiene il ministro.

Legittime le considerazioni di Balduzzi sui tagli alla Sanità: “è stato raggiunto il limite, ora basta con i sacrifici, nei tagli alla sanità non si puo’ andare oltre. Ho detto che non è pensabile sia Roma a decidere quali piccoli ospedali vanno chiusi. E’ necessaria una riorganizzazione della rete ospedaliera, non c’è dubbio. Le Regioni sono invitate a farlo, in particolare quelle che, proprio per la mancata razionalizzazione, sono in piano di rientro (Piemonte, Puglia, Sicilia) e quelle in commissariamento (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise, Calabria). Ma non sarebbe coerente con il riparto delle competenze tra Stato e Regioni se i tagli fossero decisi da Roma. Ne andrebbe di mezzo la serietà di una politica sanitaria. Una cosa così non puo’ essere accettata. Lo dirò in consiglio dei ministri. Mi auguro che gli argomenti siano ascoltati”. In merito ai ticket, Balduzzi sottolinea che “la manovra del luglio 2011 prevede dal primo gennaio 2014 nuovi ticket; io li considero non sostenibili. Sto cercando un meccanismo per evitarli”.

Resta da vedere quali saranno le misure per rendere la Sanità efficace, efficiente, equa, etica ed economica. Il “limone” è stato spremuto abbastanza e forse è giunta l’ora di entrare nel merito di santuari fino ad ora considerati intoccabili.

Troppi primari

In Italia ci sarebbero tremila primari più del necessario. Con buona pace di quanti hanno avuto santi in paradiso o essi stessi sono stati padrini politici. Il ministero della Sanità ha calcolato che per eliminare gli esuberi e contenere i costi dovranno essere tagliate 3 mila poltrone su circa 19 mila di primario. Si calcola che dovranno esserne previsti uno ogni 17,5 posti letto o nelle aree di almeno 13.500 persone. Quando in eccesso i reparti verranno accorpati. Le regioni più interessate, guarda caso, sono quelle con i conti in rosso Campania, Lazio, Molise, Abruzzo, Puglia, Calabria, Piemonte e Sicilia. L’eccesso raggiunge cifre da capogiro in Campania dove i primari in eccesso sono 795. D’altronde con 2048 strutture complesse di cui il 40% territoriali si raggiungono vertici paradossali e patetici,. Non meraviglierebbe trovare strutture dove i primari sono più dei pazienti o che riguardano attività “di supporto”. Anche le strutture semplici sarebbero troppe e, sempre in Campania, andrebbero ridotte dell’ottanta per cento. Tuttavia le misure consigliate dal Governo appaiono troppo restrittive, mirate più al mero calcolo contabile che non alle prestazioni da effettuare. Se è vero che non possono più essere tollerate situazioni come quelle di alcuni policlinici universitari dove ci sono più professori ed unità operative che non letti è altrettanto vero che la mancata graduazione delle funzioni accentuerebbe ulteriormente il malcontento e la scarsa qualità di vita in cui versano una buona parte dei medici la cui unica motivazione a ben operare resta, allo stato, il Giuramento di Ippocrate. Meglio sarebbe, come consigliato da più parte, tagliare gli Ospedali inutili.

La crisi dei Pronto Soccorso

L’attenzione sulle problematiche dei Pronto Soccorso si mantiene sostenuta, specie in queste giornata di emergenza non solo climatica. Interessante l’inchiesta di Quotidiano Sanità (link) che evidenzia elementi drammatici. “La situazione è “drammatica” nei pronto soccorso del Cardarelli di Napoli, del San Camillo di Roma e delle Molinette di Torino. Barelle ovunque, personale costretto a ritmi impossibili e attese estenuanti per i pazienti. Mancano i posti letto ma, al contempo, accrescono i numeri degli accessi soprattutto per le chiusure dei pronto soccorso degli ospedali vicini. Barelle parcheggiate nelle corsie al Cardarelli, pazienti curati a terra al San Camillo ed ancora barelle anche nei ripostigli alle Molinette. Ed è cronaca di oggi l’allarme tilt anche nel pronto soccorso dell’ospedale Galliera di Genova”. Duecento pazienti in barella al Cardarelli, mentre a cento metri un intero Policlinico non accetta ricoveri in urgenzo. Cinquecento posti letto tagliati al San Camillo-Forlanini di Roma. E per un ricovero si può aspettare anche quarantotto ore. Tagli anche alle Molinette: il venti per cento dei posti in dieci anni.

E se cominciassimo a ripensare, sul serio, all’Ospedale del futuro, integrato in un servizio di assistenza territoriale funzionale? Quanti ricoveri potrebbero essere evitati? quante persone potrebbero tornare prima a casa o in residenze assistenziali?

La Sanità in cifre

Fine anno, tempo di bilanci. Per quanto riguarda la Sanità molto interessante il rapporto presentato dal Centro Studi SIC di Federanziani. Presentato al Senato lo scorso 13 dicembre (link), sono molti gli elementi di rilievo: cresce la speranza di vita, si riducono i ricoveri, aumentano costi, sprechi e numero delle prestazioni specialistiche. Queste toccano la quota record di 1 miliardo 335 milioni (22,24 prestazioni a persona all’anno). Anche le ricette aumentano: 220 milioni di prescrizioni in più negli ultimi 10 anni. Nel rapporto vengono esaminati i bilanci delle Asl, delle aziende ospedaliere, degli Istituti di ricerca e le banche dati del ministero della Salute, delle Regioni e dei vari organismi che si occupano del comparto. La conclusione è che se da un lato aumenta la speranza di vita e si riducono i ricoveri, dall’altro crescono costi e sprechi.
I numeri dicono anche che le strutture ambulatoriali e i laboratori sul territorio italiano scendono dalle 4.120 del 2006 ai 3.887 del 2008, mentre aumentano le strutture accreditate private residenziali (da 3.493 a 3.901).
I dipendenti del SSN si riducono di 14.128 unità rispetto al 2006, su un totale di 638.459 dipendenti effettivi.
Anche le giornate di degenza diminuiscono: quasi 6 milioni di giornate in meno. Per contro esplodono le prestazioni specialisticiche: 1 miliardo 335 milioni di prestazioni effettuate nel 2008, con un incremento rispetto al 2006 di ben 48 milioni di prestazioni.
Anche la spesa aumenta. 109 miliardi di euro rispetto ai 62,6 di dieci anni prima con una spesa procapite che passa, dal 2007 al 2009, da 1.506 a 1.816 euro/anno.
Le ricette aumentano in 10 anni di 220 milioni; 351 nel 2000 e 571 milioni nel 2010. Il solo costo che lo Stato sostiene per stampa, acquisizione e archiviazione di queste ricette ammonta a oltre mezzo miliardo di euro.
I farmaci in fascia A costano 12.985 milioni, mentre gli altri farmaci raggiungono la somma di 4.215 milioni.
I ticket sono costati ai cittadini oltre 130 milioni di euro, con un ticket medio pro capite di 16,56 euro. Erano 14,34 euro nel 2009, un aumento netto del 15% in un solo anno.
Ma anche  lavanderia, pulizia, mensa, utenze telefoniche e premi assicurativi incidono sulla nostra economia: 3,68 miliardi di euro, con uno spreco di quasi il 30%.

Ospedali pubblici e privati

L’annuale riunione dell’ospealità privata, tenutasi a Roma nei giorni scorsi, è stata accompagnata dalla presentazione del Rapporto “Ospedali e Salute 2011” dal quale si evince, tralaltro, che gli ospedali pubblici hanno un’elevata quota di inefficienza ricevendo un finanziamento più alto del valore delle prestazioni che erogano: oltre il 29% del fabbisogno pari a circa 13 miliardi di euro l’anno. Agli ospedali privati convenzionati e alle case di cura private accreditate, che rappresentano il 45% del totale degli istituti di cura italiani e che ospitano il 21% dei 220mila posti letto per degenza ordinaria di cui dispone il Servizio sanitario nazionale, vanno poco meno di 9 miliardi di euro. Nelle more dell’esigenza di un’analisi approfondita del dato vale la pena ricordare che le funzioni e le competenze dell’Ospedale pubblico sono di gran lunga superiori di numero e con l’obbligo delle prestazioni d’urgenza, di rado fornite dai privati e che spesso gli organici di “prima linea”, medici ed infermieri, sono sottodimensionati nel privato (per quanto quest’ultimo dato si sta riallineando in basso per il mancato turnover.
Il Veneto si distingue per costo dei posti letto tra i più contenuti, elevata complessità delle prestazioni, alto indice di attrazione di pazienti provenienti da altre regioni e tasso di ospedalizzazione contenuto e sorpassa la Lombardia che perde il primato; il Lazio emerge per l’elevato tasso di inefficienza dovuto al più alto costo in assoluto per posto letto, eccessivo tasso di ospedalizzazione e complessità delle prestazioni medie; la Calabria, infine, registra un costo per posto letto medio-basso, un indicatore di invecchiamento basso così come l’indice di complessità delle prestazioni.

Intanto all’orizzonte si profila la “nuova frontiera” delle strutture accreditate. A quesito specifico il 68,9% risponde “in un quadro di scarsità di risorse pubbliche bisogna allargare le prestazioni ospedaliere verso funzioni e servizi che le strutture pubbliche non possono o non vogliono svolgere ma che i cittadini richiedono in maniera crescente (riabilitazione, protesica, ma anche assistenza integrativa sul territorio per gli anziani e per i pazienti che vivono da soli”. CHi vivrà vedrà

Non ci sono soldi

Il decreto stabilità ha prodotto un altro “cadavere eccellente”. Il ministro Fazio non ha spuntato il miliardo di euro, che pure si era impegnato a cercare, per la ristrutturazione degli ospedali italiani e la costruzione di nuovi edifici. I soldi dovevano provenire dall’aumento del prezzo delle sigarette: è il caso di dire che le risorse sono andate “in fumo”

La barbarie fra noi


Il lavoro del medico diventa sempre più pericoloso. Aumentano gli episodi di cronaca nera e troppi ritengono di doversi fare giustizia da soli, spesso dopo un sommario processo. Questa volta è successo a Roma, al San Filippo Neri, dove un medico è stato picchiato dal patrigno di una ragazzina di 10 anni deceduta per arresto cardio circolatorio. La prossima volta dove e a chi capiterà?

Il ticket di scopo

Lo ha proposto il ministro Fazio al congresso SIMM (Società Italiana Medici Manager). In pratica tutti i ricoveri inappropriati verrebbero ad essere tassati da questo nuovo ticket. Scopo dichiarato è evitare il ricorso all’ospedale per prestazioni che potrebbero essere eseguite sul territorio. Dubito che la misura, da sola, possa servire a contenere un fenomeno che assume proporzioni sempre più gravose. Occorrono anni ed una precisa e coordinata azione di informazione per far si che il cittadino apprenda a riconoscere quando e a chi può chiedere una prestazione sanitaria, il territorio venga alleggerito dagli adempimenti burocratici e riprenda a fare medicina di base, gli ospedali diventino dei centri di eccellenza per la salute, coordinati in rete per evitare gli sprechi ed integrati con le strutture universitarie a fini sia assistenziali che di ricerca. Ma soprattutto occorre che la politica smetta di entrare nelle questioni della sanità solo a fini propagandistici, elettorali e, peggio di tutto, clientelari.

Le vacche grasse

Se è vero, come è vero, che “ci tagliano la salute” è altrettanto vero che altri, in Italia, se la passano molto bene. Come se il problema della spesa non esistesse.  Al Celio, per esempio, per meno di cento posti letto ci sono diciassette dipartimenti, ventiquattro reparti ed oltre cinquanta servizi. Il tutto assicurato da 1200 unità di personale, medico e non. Con altrettante persone altri ospedali assicurano l’assistenza a 400 pazienti. Inoltre, per assicurare il pieno funzionamento delle strutture e della strumentazione a disposizione c’è la possibilità per “scopi didattico-addestrativi” di utilizzazione al di fuori dell’ospedale, magari in strutture private dove gli ufficiali medici prestano servizio. Gli stessi che, interrogati in inchieste giornalistiche, hanno confidato “stiamo giornate intere a fare niente. Senza contare che, dal punto di vista professionale, sappiamo bene quanto la pratica e l’aggiornamento siano necessari alla nostra professione”. E se provassimo, come già in uso in Francia e in Germania ad aprire gli ospedali ai civili? La sinergia porterebbe a non pochi benefici sopra in quelle prestazioni da sempre patrimonio della sanità militare (ecografia, chirurgia plastica, ortopedia).