Etichettato: dopamina
Correlazione tra disfunzione dopaminica e deficit esecutivo nel Parkinson
La possibilità di utilizzare dinamicamente i vari aspetti della conoscenza è essenziale per le attività quotidiane ed è correlata alla trasmissione dopaminergica nel circuito cortico – striatali. In un lavoro pubblicato su Brain (link) sono stati esaminati i cambiamenti dopaminergici sia striatali che corticali in pazienti con malattia di Parkinson e decadimento cognitivo lieve , gruppo vulnerabile per lo sviluppo di demenza . Gli autori hanno ipotizzato una grave denervazione striatale della dopamina nelle regione associative corticali e anomalie dei recettori D2 nella malattia di Parkinson con deterioramento cognitivo lieve rispetto ai pazienti con Parkinson ma cognitivamente normali e ai soggetti di controllo sani. Allo scopo è stata eseguita una tomografia a emissione di positroni in pazienti con malattia di Parkinson e con lieve compromissione cognitiva ( n = 11 ), in pazienti cognitivamente normali con malattia di Parkinson ( n = 11) e in soggetti di controllo sani di pari età ( n = 14 ) . Ai soggetti è stata somministrata una batteria di test neuropsicologici per valutare lo stato cognitivo e determinare la relazione tra i cambiamenti dopaminergici e le prestazioni cognitive . L’esame dei dati ha evidenziato che i pazienti con decadimento cognitivo lieve presentano una grave deplezione di dopamina striatale nelle aree associative e una ridotta disponibilità dei recettori D2 nell’insula bilaterale , un hub cognitivo chiave , rispetto ai pazienti cognitivamente normali e ai aoggetti sani. La deplezione striatale di dopamina è predittiva della perdita di recettori D2 nel insula dei pazienti con malattia di Parkinson, con decadimento cognitivo lieve, dimostrando una correlazione tra variazioni striatali e corticali. I livelli insulari di D2 sono predittivi anche delle abilità esecutive in questi pazienti mentre lo spessore corticale non ha mostrato differenze significative nei vari gruppi. Questi risultati suggeriscono che la denervazione striatale della dopamina combinato con la perdita del recettore D2 insulare è alla base del decadimento cognitivo lieve nella malattia di Parkinson e, in particolare, nel declino della funzione esecutiva. Inoltre, questi risultati suggeriscono un ruolo cruciale e diretto della modulazione dopaminergica nella insula nel facilitare la funzione cognitiva .
Patients with mild cognitive impairment have severe striatal dopamine depletion in the associative (i.e. cognitive) subdivision as well as reduced D2 receptor availability in the bilateral insula, a key cognitive hub, compared to cognitively normal patients and healthy subjects after controlling for age, disease severity and daily dopaminergic medication intake. striatal dopamine denervation combined with insular D2 receptor loss underlie mild cognitive impairment in Parkinson’s disease and in particular decline in executive function. Furthermore, these findings suggest a crucial and direct role for dopaminergic modulation in the insula in facilitating cognitive function.
La carbidopa nella disautonomia familiare
La disautonomia familiare è una condizone caratterizzata, tra le altre manifestazioni, da attacchi di nausea e vomito iperdopaminergici. In uno studio pubblicato su Neurology (link) e condotto su 12 pazienti affetti è stata valutata l’efficacia e la tollerabilità della carbidopa, inibitore della dopa decarbossilasi presente nel Sinemet. I risultati sono stati eccellenti con riduzione della sintomatologia in assenza di importanti effetti collaterali. Il possibile meccanismo d’azione antiemetico è riconducibile alla ridotta formazione di dopamina extracerebrale.
Brain – Aprile 2013
Sul numero di aprile di Brain (link):
- Limitations on the developing preterm brain: impact of periventricular white matter lesions on brain connectivity and cognition: studio sulle potenzialità dello sviluppo cerebrale nei nati pretermine.
- The Medical Research Council Prion Disease Rating Scale: a new outcome measure for prion disease therapeutic trials developed and validated using systematic observational studies: la scala in 20 punti valuta i domini: funzioni cognitive, linguaggio, mobilità, cura personale, alimentazione e continenza,in base alla loro importanza relativa documentata dagli accompagnatori.
- Capturing the epileptic trait: cortical excitability measures in patients and their unaffected siblings: studio su 157 pazienti epilettici e fratelli asintomatici. Sono evidenti fattori predisponenti sia alle forme generalizzate che focali inseriti in una complessa interazione genetico/ambientale
- Attenuated neural response to gamble outcomes in drug-naive patients with Parkinson’s disease: le regioni centrali del sistema dopaminergico meso-cortico-limbico, compresa l’area ventrale tegmentale, lo striato ventrale e mediale della corteccia orbito-frontale, sono significativamente compromesse già nelle fasi iniziali della malattia. Questi deficit non possono essere attribuiti all’effetto del trattamento dopaminergico.
- Exploring the cortical and subcortical functional magnetic resonance imaging changes associated with freezing in Parkinson’s disease: il freezing è collegato ad alterazioni del flusso ematico cerebrale in alcune regioni cerebrali, basali e fronto parietali.
- A cortical pathway to olfactory naming: evidence from primary progressive aphasia: il riconoscimento degli odori è collegato allo spessore del lobo temporale e al talamo mediodorsale.
Basal Ganglia – Marzo 2013
Tra gli articoli pubblicati su Basal Ganglia (link):
- Extrastriatal plasticity in parkinsonism: la perdita cronica di dopamina nel Parkinson non riguarda solo la plasticità sinaptica nello striato, ma comporta anche alterazioni funzionali e morfologiche in altri nuclei della base, in particolare il globo pallido (GP) e il nucleo subtalamico (STN).
- 5-HT1 receptor agonists for the treatment of L-DOPA-induced dyskinesia: From animal models to clinical investigation: l’osservazione che le discinesie possono dipendere da un coinvolgimento della serotonina apre nuove prospettiva al trattamento del disturbo.
- Freezing of gait-related oscillatory activity in the human subthalamic nucleus osservazioni in pazienti stimolati con DBS lasciano pensare che il freezing possa dipendere ad una insufficiente soppressione delle oscillazione nella gamma inferiore di frequenze beta.
- Instability of syllable repetition in Parkinson’s disease—Impairment of automated speech performance?: disturb della parole nel Parkinson sembrano essere peculiari della malattia e presenti già nelle prime fasi della stessa..
Nuovi farmaci nel Parkinson
La Malattia di Parkinson, a differenza di Alzheimer, ha una buona terapia incardinata sugli agonisti dopaminergici: Levodopa, agonisti dopaminergici diretti, e inibitori delle monoamino ossidasi-B (I-MAO-B). Tuttavia restano diversi problemi: il trattamento è sintomatico; l’uso prolungato del farmaco più efficace, la levodopa, è associato con discinesie; ci sono poche prove che uno qualsiasi di questi farmaci possa modificare la malattia, vale a dire fermare la progressione della malattia, fatti salvi gli inibitori delle MAO-B che ne rallenta la progressione. Un altro aspetto problematico della terapia è che, con l’uso a lungo termine di Levodopa, i pazienti lamentano un effetto “off” ovvero una perdita spesso imprevedibile dell’effetto terapeutico dei farmaci. Poche le novità sul fronte dei nuovi farmaci. Qualche promessa sembra venire dal preladenant, un antagonista del recettore dell’ adenosina 2A. In uno studio di fase 2 pare che la sostanza possa ridurre il tempo di “off”. In modelli animali preclinici la monoterapia con preladenant migliora la funzione motoria senza causare discinesia. Ma il dato più rilevante per lo sviluppo clinico è che il preladenant in associazione con levodopa migliora la funzione motoria senza peggiorare le discinesie. In uno studio di fase 2, preladenant in aggiunta alla Leodopa riduce il tempo “off” rispetto al placebo. Anche il fipamezole, un altro antagonista del recettore A2A, hanno dimostrato che può essere utile nel ridurre le discinesie indotte da levodopa. Anche se meno potente, pure la caffeina è un antagonista del recettore A2A. Bere caffè è associato ad un ridotto rischio di malattia di Parkinson. Più precisamente, bere caffè può ridurre i problemi motori dei pazienti con malattia di Parkinson.
In pratica sono poche le novità sul fronte della terapia del Parkinson e riguardano aspetti di ottimizzazione dei farmaci in uso, piuttosto che nuove frontiere.
La depressione nel Parkinson
Ancora un articolo sulla depressione nel Parkinson. Il gruppo svedese del Karolinska Institute diretto da Dag Aarsland ha pubblicato un articolo su Nature Reviews Neurology (link) in cui passa a rassegna lo “stato dell’arte” in materia.
La depressione si verifica in circa il 35% dei pazienti con malattia di Parkinson (PD) e spesso è persistente. I sintomi della depressione possono essere evidenti al momento della diagnosi e potrebbero sviluppare nella fase premotoria della malattia. I meccanismi alla base della depressione nella malattia di Parkinson non sono noti in dettaglio, ma i cambiamenti nella struttura del cervello, dei neurotrasmettitori e di fattori infiammatori e neurotrofici possono contribuire al suo sviluppo. Anche fattori psicosociali e il dolore potrebbero avere un ruolo nella depressione. Variazioni dei sistemi dopaminergico, noradrenergico e serotoninergico potrebbero contribuire a spiegare l’incidenza di depressione. Gli antidepressivi a duplice azione serotoninergica e noradrenergica sono i farmaci di scelta nel trattamento della depressione nella malattia di Parkinson. Tuttavia, i farmaci antiparkinsoniani potrebbero avere effetti benefici non solo sui sintomi motori della malattia, ma anche sull’umore del paziente. La stimolazione cerebrale profonda può peggiorare la depressione in alcuni pazienti, ma uno studio preliminare ha suggerito che la stimolazione magnetica transcranica potrebbe migliorare i sintomi della depressione.
L’olfatto nel Parkinson
Il disturbo dell’olfatto è uno dei principali segni preclinici della malattia di Parkinson. Un articolo pubblicato su Neurobiology of disease (link) presenta una rivalutazione completa e un aggiornamento di tale problema nel Parkinson e nei disturbi correlati. Il bulbo olfattivo è coinvolto nella disfunzione, in quanto solo quelle sindromi con evidente patologia del bulbo olfattivo mostrano una significativa alterazione dell’odore. Resta enigmatico il ruolo della dopamina nella patologia del sistema olfattivo; l’iperespressione di cellule dopaminergiche all’interno dello strato glomerulare del bulbo è una caratteristica comune nel Parkinson e nei modelli animali di malattia. Probabilmente sono chiamati in causa anche danni dei sistemi colinergico, serotoninergico e noradrenergico, dal momento che tali danni sono più marcati in quelle malattie con maggior perdita dell’olfatto. Quando compromessi, questi sistemi, che regolano l’attività della microglia, possono condizionare l’induzione di infiammazione focale del cervello, danno ossidativo e la rottura citosolica di processi cellulari. Nelle forme monogeniche di PD, la disfunzione olfattiva è raramente osservata nei portatori asintomatici del gene, ma è presente in molti di quelli che presentano il fenotipo. Ciò suggerisce che tale correlazione genetica sull’olfatto, quando presente, necessita di tempo per svilupparsi e dipende da altri fattori, quali l’invecchiamento, altri geni, la formazione di patologia dell’α-sinucleina o della tau oppure di una ridotta soglia per lo stress ossidativo da insulti tossici. I limitati dati disponibili suggeriscono che i fattori fisiologici dei cambiamenti precoci del Parkinson legati alla funzione olfattiva sono probabilmente multifattoriali e possono comprendere le stesse cause di una serie di altri sintomi non motori della malattia di Parkinson, come la disautonomia e i disturbi del sonno.
La FDA critica la rasagilina
L’FDA (Food and Drug Administration) afferma che la rasagilina (Azilect) non riesce a rallentare la progressione della malattia di Parkinson. La rasagilina è un inibitore delle MAO-B ed aumenta i livelli di dopamina inibendo la monoamino ossidasi B, enzima che metabolizza la dopamina. Allo stato la sostanza viene utilizzato sia da sola che insieme ad altri farmaci. Sebbene il produttore, TEVA, abbia affermato che la dose di 1 mg di rasagilina (nello studio clinico ADAGIO) e la dose di 2 mg di rasagilina (nello studio clinico TEMPO) potrebbero avere un effetto modificanti la malattia l’analisi dell’FDA (link) afferma che se si esaminano con attenzione i dati pubblicati non viene dimostrato quanto affermato. In quindici studi la rasagilina ha determinato una riduzione moderata dei sintomi. Essa ha causato una moderata riduzione del tempo in “off” in quattro di questi studi. L’effetto del trattamento era ancora evidente sei settimane dopo la sospensione del farmaco. In uno di questi studi la rasagilina è stata più efficace della selegilina, che è un altro inibitore MAO-B. Tuttavia questi studi, afferma l’FDA non hanno dimostrato alcun rallentamento della progressione della malattia di Parkinson. Non sono infine mancati frequenti effetti collaterali cardiovascolari o psichiatrici.
Disturbi vescicali nel Parkinson
Tra i disturbi non motori della malattia di Parkinson quelli vescicali (minzione imperiosa, incontinenza) sono fra i più frequenti e meno responsivi al trattamento con levodopa. All’argomento viene dedicato un articolo su Neurobiology of Disease (link). La disfunzione vescicale è legata ad un alterazione del circuito dopaminergico fronto-basale che in condizioni normali sopprime il riflesso della minzione. La fisiopatologia della disfunzione vescicale nel PD è diversa da quella nell’atrofia multi sistemica, quindi ciò potrebbe aiutare nella diagnosi differenziale. Il miglior trattamento è rappresentato dai farmaci anticolinergici, anche se questi farmaci devono essere usati con cautela soprattutto nei pazienti anziani che presentano declino cognitivo.
Attraversare la barriera
La barriera emato encefalica (BEE) è una struttura anatomica-funzionale che consente il mantenimento di un ambiente ottimale per il funzionamento del cervello. Sono molte le sostanze che non possono passare e se la cosa per moltissimi aspetti è positiva impedendo l’entrata di molecole inutili o tossiche in qualche caso, come ad esempio per molti farmaci, risulta un impedimento al che possano essere utilizzate dall’organismo. Basti pensare alla dopamina nelle persone con Parkinson. Dobbiamo dare il suo precursore, la levodopa, che una volta entrata viene trasformata ed utilizzata dall’organismo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Tale situazione ha molto limitato, fino ad ora, la sperimentazione di moltissimi farmaci potenzialmente utili nelle malattie neurologiche. Sembra pertanto interessante la notizia che un gruppo di ricercatori della Roche potrebbe aver trovato un modo per superare la BEE. La tecnica, per adesso testata sugli animali, si avvale di un recettore, oppurtanemente modificato, che trasporta le molecole di ferro attraverso la barriera. In pratica si è riusciti a bloccare l’enzima BACE1, direttamente chiamato in causa nell’Alzheimer, utilizzando un anticorpo monoclonale diretto sia contro il BACE1 che contro la transferrina. E’ stato pertanto fabbricato in laboratorio un anticorpo con due braccia, uno trasporta il farmaco anti-BACE1, l’altro è collegato al recettore per la transferrina che trasporta ferro alle cellule cerebrali. Ed è proprio questa la componente che ha consentito il passaggio attraverso la barriera. Gli incoraggianti risultati sul topo, con riduzione dell’amiloide in misura del 50% dopo appena 48 ore, vorrebbero ora una sperimentazione nell’uomo.
Il lavoro è stato pubblicato su Science Translation Medicine (link)