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La carbidopa nella disautonomia familiare

La disautonomia familiare è una condizone caratterizzata, tra le altre manifestazioni, da attacchi di nausea e vomito iperdopaminergici. In uno studio pubblicato su Neurology (link) e condotto su 12 pazienti affetti è stata valutata l’efficacia e la tollerabilità della carbidopa, inibitore della dopa decarbossilasi presente nel Sinemet. I risultati sono stati eccellenti con riduzione della sintomatologia in assenza di importanti effetti collaterali. Il possibile meccanismo d’azione antiemetico è riconducibile alla ridotta formazione di dopamina extracerebrale.

Attraversare la barriera

La barriera emato encefalica (BEE) è una struttura anatomica-funzionale che consente il mantenimento di un ambiente ottimale per il funzionamento del cervello. Sono molte le sostanze che non possono passare e se la cosa per moltissimi aspetti è positiva impedendo l’entrata di molecole inutili o tossiche in qualche caso, come ad esempio per molti farmaci, risulta un impedimento al che possano essere utilizzate dall’organismo. Basti pensare alla dopamina nelle persone con Parkinson. Dobbiamo dare il suo precursore, la levodopa, che una volta entrata viene trasformata ed utilizzata dall’organismo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Tale situazione ha molto limitato, fino ad ora, la sperimentazione di moltissimi farmaci potenzialmente utili nelle malattie neurologiche. Sembra pertanto interessante la notizia che un gruppo di ricercatori della Roche potrebbe aver trovato un modo per superare la BEE. La tecnica, per adesso testata sugli animali, si avvale di un recettore, oppurtanemente modificato, che trasporta le molecole di ferro attraverso la barriera. In pratica si è riusciti a bloccare l’enzima BACE1, direttamente chiamato in causa nell’Alzheimer, utilizzando un anticorpo monoclonale diretto sia contro il BACE1 che contro la transferrina. E’ stato pertanto fabbricato in laboratorio un anticorpo con due braccia, uno trasporta il farmaco anti-BACE1, l’altro è collegato al recettore per la transferrina che trasporta ferro alle cellule cerebrali. Ed è proprio questa la componente che ha consentito il passaggio attraverso la barriera. Gli incoraggianti risultati sul topo, con riduzione dell’amiloide in misura del 50% dopo appena 48 ore, vorrebbero ora una sperimentazione nell’uomo.
Il lavoro è stato pubblicato su Science Translation Medicine (link)