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La neuropatia periferica da levodopa
Pubblicato su Movement Disorder un articolo (link) sulla neuropatia da levodopa. Lo studio multicentrico ha esaminato 330 pazienti con malattia di Parkinson e 137 controlli sani con distribuzione per età comparabile. Per quanto riguarda l’esposizione alla levodopa, 144 pazienti avevano un’esposizione a lungo termine (≥ 3 anni – LELD) 103 a breve (<3 anni – SELD) e 83 pazienti non assumevano levodopa (NOLD). Tutti sono stati sottoposti ad esame clinico e neurofisiologico che ha evidenziato la presenza di neuropatia assonale, prevalentemente sensoriale nel 19,40% dei pazienti nel gruppo LELD, del 6,80% nel gruppo SELD, del 4,82% nel gruppo NOLD e 8.76% nel gruppo di controllo. L’analisi logistica multivariata ha indicato che il rischio di neuropatia non è influenzato dalla durata di malattia, dalla gravità o dal sesso ed è aumentato di circa l’8% per ogni anno di età (p=0,001; odds ratio 1,08). Il rischio è 2,38 volte più alto nel gruppo LELD rispetto al gruppo di controllo (p = 0,022; OR, 2,38). Inoltre in un confronto tra pazienti con e senza neuropatia la dose di levodopa era più elevata (P=0.0001), i livelli sierici di vitamina B12 erano inferiori (p = 0,0102) e i livelli di omocisteina erano superiori (p=0,001) nei pazienti con neuropatia. I risultati evidenziano che la durata di esposizione alla levodopa, insieme con l’età, è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di neuropatia.
Nei pazienti parkinsonismi che assumono levodopa sarebbe opportuno screenare i livelli di omocisteina e di vitamina B12 ed eseguire un monitoraggio clinico-neurofisiologico per la neuropatia.
Duodopa e neuropatia periferica
Nella malattia di Parkinson in fase avanzata può essere utilizzata l’infusione continua intra-duodenale di un gel intestinale composto da levodopa e carbidopa (Duodopa). In generale la tollerabilità del trattamento è sovrapponibile a quella della terapia dopaminergica orale, tuttavia sono stati riportati casi di neuropatia periferica sintomatica, a volte gravi. I casi sono in genere si manifestano con una polineuropatia sensitivo, ad insorgenze sia subacuta che cronica, spesso associati a carenza di vitamina B12 e/o B6. In rari casi le manifestazioni cliniche sono simili a quelle della sindrome di Guillain-Barré. In assenza di dati raccolti in maniera prospettica sulle possibili associazioni tra Duodopa e neuropatia è prudente esplorare i potenziali meccanismi che possono spiegare una possibile correlazione. La polineuropatia può essere legata all’uso di levodopa ad alte dosi, ad elevati livelli di omocisteina e acido metilmalonico o un ridotto assorbimento di vitamine essenziali per il metabolismo dell’omocisteina. In alcuni casi la neuropatia ha risposto alla supplementazione di vitamina senza necessità di sospendera la levodopa, anche se a volte è necessaria questa decisione. Può essere opportuno monitorare la vitamina B12/B6 prima e dopo che i pazienti iniziano il trattamento e prestare attenzione ai segni di neuropatia ed ulteriori studi devono essere condotti per meglio comprendere questa problematica.
(fonte Parkinsonism and Related Disorders – link)
La neuropatia nel Parkinson
Un interessante articolo sulla neuropatia nel Parkinson ė stato pubblicato su Neurology (link). Le manifestazioni neuropatiche nel Parkinson sono sette volte più frequenti che nella restante popolazione. Nel lavoro pubblicato sono stati confrontati 37 pazienti con Parkinson e 37 controlli normali. La presenza di neuropatia (14 contro 3) correla con il deficit di vitamina B12 che, a sua volta, sembra correlare all’esposizione complessiva alla levodopa, il che consiglia il monitoraggio di tale vitamina e la sua eventuale supplementazione.
Alimentazione e Alzheimer
Sono sempre di più le evidenze sperimentali circa il ruolo del cibo nella prevenzione delle malattie neurodegenerative. In questo lavoro pubblicato sul Journal of Neuroscience una popolazione di topi è stata alimentata per sei mesi con una serie di cibi dei quali si presume l’efficacia protettiva. Curcuma, pepe nero, the verde, acido alfa-lipoico, N-acetilcisteina, vitamine B e C e folati hanno superato l’esame a pieni voti. Tutte riducono la formazione di placche di beta-amiloide, allo stato il più attendibile indice di malattia di Alzheimer.