Etichettato: deterioramento cognitivo lieve

MCI non amnestico: aumentata mortalità

MCI non amnesticoIl deterioramento cognitivo lieve (MCI, Mild Cognitive Impairment), sia amnestico (aMCI) che non amnestico (naMCI), è associato ad un aumento della mortalità, ma un nuovo studio presentato all’American Academy of Neurology, appena concluso a Filadelfia (link), dimostra che questa associazione è più forte nei pazienti con declino cognitivo che non interessa la memoria. La conoscenza di questo rischio è importante per due motivi: la comprensione dell’impatto del MCI sulla salute pubblica per l’urgente necessità di prevenire la morte delle persone che ne sono affette e l’eterogeneità della patologia, il che significa che ci sono diverse forme e diverse cause che, a loro volta, comportano diversi risultati futuri. Lo studio presentato ha utilizzato un campione casuale, stratificato per età e sesso, di persone di età compresa tra 70-89 anni. I partecipanti sono stati sottoposti a una valutazione neurologica e test neuropsicologici e sono stati seguiti ad intervalli di 15 mesi. La diagnosi di MCI è stata formulata in presenza di un problema cognitivo in almeno un dominio cognitivo (memoria, funzioni esecutive attenzione, linguaggio o abilità visuospaziali) basato su test multipli; con attività funzionali essenzialmente normali e in assenza di demenza. In presenza di disturbi della memoria la diagnosi è di MCI amnestico. I ricercatori hanno quindi calcolato le morti consultando il database della Mayo Clinic ed hanno utilizzato modelli di rischio proporzionale per stimare i tassi di mortalità per i casi di MCI vs i partecipanti cognitivamente normali. Nel corso di un follow-up mediano di 5,8 anni, 331 degli 862 casi di MCI e 224 dei 1292 partecipanti cognitivamente normali sono morti. Rispetto ai soggetti cognitivamente normali, la mortalità è stata elevata in quelli con MCI (hazard ratio 1,81), dopo aggiustamenti per età, sesso, anni di istruzione, stato di portatore APOE ε4, storia di ictus, malattie cardiache, velocità dell’andatura, diabete, depressione e apatia. Tuttavia, il rischio era più alto per i naMCI (HR, 2,26) che non per gli aMCI (HR, 1,68). Lo studio ha anche evidenziato che la mortalità era simile nei pazienti con MCI che hanno poi sviluppato la demenza (HR, 1.47) e quelli che non hanno sviluppato la demenza (HR, 1.48). La mortalità è aumentata sia gli aMCI per singolo dominio (HR, 1,76) che per più domini (HR, 1.49) ed anche per i naMCI per singolo dominio (HR, 2.31) e più domini (HR, 2.04).

Alzheimer ed altre demenze

I ricercatori continuano a ricercare i biomarcatori degli stadi preclinico, deterioramento cognitivo lieve e demenza malattia di Alzheimer. Ad esempio, gli studi suggeriscono che la deposizione di β-amiloide fibrillare inizia più di due decenni prima della comparsa di demenza. Studi di risonanza magnetica hanno evidenziato differenze strutturali del cervello in neonati portatori di allele ApoE e4.

Researchers continue to characterise biomarker trajectories in the preclinical, mild cognitive impairment, and dementia stages of Alzheimer’s disease. For example, studies suggest that fibrillar amyloid-β deposition begins more than two decades before the onset of dementia. 1—3 Results of MRI studies showed structural brain differences in infant ApoE e4 allele carrier …

(fonte Lancet Neurology)

Nuovi criteri diagnostici per la malattia di Alzheimer

I “criteri diagnostici” della malattia di Alzheimer sono vecchi di ben 27 anni. Ferma restante la fenomenologia di base, l’esigenza di modificarli alla luce delle più recenti acquisizioni ha portato il National Institute on Aging and the Alzheimer’s Association alla formulazione di nuovi criteri definitivi.
Il principale vantaggio sarà quello di avere un critero univoco sia per scopi clinici che per il reclutamento dei partecipanti ai trial sperimentali.
Allo stato attuale la diagnosi di malattia di Alzheimer si basa interamente su esami clinici e su quanto riferito dal paziente o dal caregiver, con particolare attenzione alla lenta progressione cognitiva e ai problemi comportamentali associati alla malattia. Per quanto riguarda le indagini strumentali la diagnosi può avvalersi della ricerca del genotipo APOE, della PET, e della ricerca della beta-amiloide nel liquido cerebrospinale. Queste indagini, tuttavia, dovrebbero essere riservate agli studi di ricerca, dal momento che ancora non è estata stabilita la corretta interpretazione per l’uso clinico di routine.
Tornando ai nuovi criteri sono state riconosciute tre categorie:

  • demenza dovuta a malattia di Alzheimer,
  • deterioramento cognitivo lieve (MCI) dovuto alla malattia di Alzheimer,
  • e un’entità completamente nuova, chiamata “fasi precliniche della malattia di Alzheimer

Quest’ultima ha, per adesso, significato solo per scopi di ricerca e non hanno alcun utilizzo nella pratica clinica. Poiché la condizione, per definizione, non ha sintomi clinici, la denominazione si basa interamente sui dati dei marcatori biologici: anormali livelli di proteina beta-amiloide sia nel cervello che nel liquido cerebrospinale, atrofia cerebrale o altre alterazini visibili alla RMN, livelli liquorali di proteina tau. L’utilità pratica dell’identificazione di questa categoria è l’identificazione delle persone su cui poter testare terapie modificanti la malattia.

Non da meno importante è stata la ridefinizione dei criteri diagnostici della condizione nota come mild cognitive impairment (MCI). Come per la diagnosi clinica di demenza, i criteri generali sono noti ai clinici esperti. A questi andrebbero affiancate le metodiche di brain imaging e i biomarcatori liquorali tesi a dimostrare il coinvolgimento delle proteina beta-amiloide e tau. Su questi criteri il consenso è meno consolidato e non mancano critiche, soprattutto per quanto riguarda la diagnosi differenziale con altre patologie.